doppio_arcobalenoLeucemia una parola bruttissima, una malattia terribile che ci colpisce come una condanna a morte. Io mi sono ammalata all’età di 14 anni, ero una ragazzina spensierata come tante altre, mai avrei immaginato cosa mi stava succedendo.
Nell’estate del 1988 di ritorno dalle ferie mi ritrovai improvvisamente il corpo pieno di ecchimosi, senza alcun motivo evidente per cui mia madre decise di portarmi dal medico di famiglia. Il medico mi fece spogliare e …. sorpresa erano comparsi sui fianchi due ecchimosi enormi di circa 15 cm di diametro. Panico e imbarazzo, non sapevo che dire, 10 minuti prima quelle macchie enormi non erano sul mio corpo. Da li iniziarono gli accertamenti e il ricovero, ricordo entrai in ospedale con le mie gambe e due giorni dopo non ero più in grado di stare in piedi, la malattia mi stava consumando molto velocemente, troppo velocemente. Attorno a me c’erano tantissime altre persone, giovani e anziani. Rimasi impressionata dalla solidarietà e dall’ affetto che incontrai nel reparto.
Una grande famiglia dove i progressi del singolo malato ematologico erano vissuti con grande gioia da parte di tutti …. e chi non riusciva a vincere la malattia lasciava nella grande famiglia un buco enorme. Non capivo cosa mi stava succedendo, la paura era tanta, non sapevo quale era la mia diagnosi perché i miei genitori evitarono di pronunciare quella parola terribile davanti a me e forse perché anche loro non riuscivano ad accettare che loro figlia stava per andarsene. Una mattina, durante la solita visita dei medici, una infermiera appoggio la mia cartella sul letto la apri’, i medici si consultarono e uno di loro chiuse la cartella, la quale rimase aperta sulla prima pagina. I medici passarono nel letto della mia vicina e io allora mi allungai per leggere la mia cartella.
Cosa vidi, diagnosi LEUCEMIA acuta. Non capii più niente, mi tornarono alla mente pensieri della scuola dove la maestra ci raccontava di una sua amica che aveva una figlia malata di leucemia che aveva bisogno urgente di sangue e qualche giorno dopo ci disse che purtroppo ci aveva abbandonato. Non potevo che pensare a quella ragazza e che tutto quello stava succedendo anche a me. Cicli di chemioterapia, irradiazioni , trasfusioni, la cura stava funzionando. Ma i medici mi dissero che questo non era sufficiente, ero stata brava, il mio corpo aveva risposto bene alle cure, ma mi si chiedeva ancora una cosa per provare a vincere definitivamente la malattia. IL TRAPIANTO. Mio fratello, il mio unico fratello, all’età di 10 anni venne tipizzato e per fortuna il suo midollo era compatibile con il mio. Mio fratello a 10 anni mi ha salvato la vita e se io oggi posso raccontarvi la mia storia lo devo a lui, al suo grande coraggio e alla sua forza di un leone.
Era convinto di quello che stava per fare e quando arrivò il momento dell’ espianto chiese alla mia ematologa di addormentarlo subito perché lui doveva fare guarire sua sorella. Arrivò in camera sterile la sacca con il midollo, che cosa strana , quella sacca poteva salvarmi. Passarono i giorni, le settimane, i mesi, gli anni e a dire la verità ne sono passati ben 25. Certo non e’ stato facile specialmente i primi anni dopo il trapianto, il mio fisico era molto debole per cui vulnerabile alle malattie più comuni e anche una semplice influenza per me era difficile da affrontare. Ma alla fine ho vinto IO. Spero che questa storia possa dare un po di speranza ai malati ma soprattutto fare capire alle persone sane che c’è bisogno di loro. Ognuno di noi in qualche parte del mondo ha un “fratello” che può salvarci la vita.
Barbara Saraceno

1 commento

  1. bella questa storia che parla di un grande dolore vinto grazie alla disponibilità di una seconda rinascita. La vostra unione credo sia diventata ancor più salda dopo il dono di tuo fratello, e penso che ancora oggi, a distanza di 25 anni, quel giorno sia per voi un gran giorno di festa e di amore. Grazie per aver condiviso con noi la tua bella storia di VITA e di SPERANZA.

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