Roma, martedì 26 marzo 2024 – “Credo inderogabile, necessario consolidare le fondamenta su cui deve prendere forma definitiva la dignità dell’essere donna. Sotto tutti i profili culturali, sociali, economici, religiosi. Il teatro, antica e complessa forma d’arte, è strumento di ricerca e arricchimento personale straordinario e può avere una precisa funzione in questo processo di consolidamento.
Il teatro non ha vita solo nel pensiero, ma specialmente nell’azione, costringendo così ad una realizzazione immediata attraverso la quale anche il confronto intellettuale diventa libero da ogni retorica”.

Così Caterina Vertova, direttrice artistica e responsabile della messa in scena di Donne Regine. Lei stessa ci tiene a non definirlo uno spettacolo, bensì una “restituzione scenica”, un autentico e totale donare e donarsi di diciotto donne, una condivisione forte di emozioni con il pubblico e una sorta di “affermazione” di loro stesse, della loro identità di donna.

La “restituzione scenica” assume una valenza ancora maggiore, di “cura”, se pensiamo che molte di queste donne hanno alle spalle storie complesse di malattia – tra queste, Anna Lucia, Rosaria, Cecilia e Stefania, le “nostre” donne del L’Arcobaleno, ex pazienti del Policlinico Tor Vergata – oppure duri episodi di violenza.

Potenti le dichiarazioni delle protagoniste sull’esperienza di sei mesi, che ha portato alla messa in scena: “A me ha dato modo di vivere, questi sei mesi di vita sono stati un regalo”; “È servita più di mille psicologi e psichiatri”; “L’aiuto è tanto sotto tantissimi punti di vista, sia internamente, per quello che mi riguarda più intimamente, sia nelle relazioni con le altre donne”.

È anche la cornice, il Teatro Tor Bella Monaca, a fornire una connotazione speciale all’evento. Tramite questo progetto, c’è la volontà di dare luce a un territorio difficile della Capitale, come evidenziato dal Presidente del Municipio VI, Nicola Franco.

Come ci tiene a sottolineare Caterina Vertova, nel suo discorso introduttivo, è un teatro che si fa “casa”, un frutto del lavoro di anime definite fragili, che uniscono i loro vissuti, le consapevolezze maturate nelle loro “lotte quotidiane”, per “restituire scenicamente” qualcosa di potente e profondamente vero. Un susseguirsi di sensazioni, una continua scoperta di sé e dell’altra, la volontà di esserci, come Donna con la D maiuscola, fiera e forte.

A questo proposito, la direttrice artistica vuole anche condividere il proprio sgomento sul recente attentato al Crocus City Hall di Mosca, un brutale attacco a un luogo di cultura, che “dovrebbe costruire una possibilità di comunicare e di fare insieme lo spettacolo, insieme al pubblico”, qualcosa di irripetibile, che è proprio quello che si propone di fare la Vertova con la sua compagnia, La Casa di Ciascuna.

Sin dal principio, ci si accorge di non star assistendo a un classico spettacolo.

La messa in scena attinge da opere di celebri autori, quali la Medea, di Christa Wolf, la Maria Stuarda, di Dacia Maraini e l’Interrogatorio a Maria, di Giovanni Testori.

Diciotto donne che si muovono liberamente, utilizzando tutto lo spazio scenico e anche la platea, si stringono in un grande abbraccio, danzano, suonano tamburi, si “spogliano” e si “grattano”, quasi a voler liberarsi di un peso, come a voler gettare via qualcosa di scomodo, un gesto che funge da grande connessione con la realtà di queste donne.

Particolarmente significativo il momento in cui le interpreti si mettono, a due a due, l’una di fronte all’altra, come allo specchio, a rappresentare “la trappola della menzogna”. “La menzogna è il sigillo della tua soggezione. Più menti, più sei soggetta a me!”, grida una di loro.

Emblematico il frammento finale, nel quale le diciotto donne, in fila sul proscenio, sulle note di Libertango, di Astor Piazzolla, tirano fuori il rossetto e si “scrivono” sui loro stessi corpi, quasi a voler lasciare a un’impronta, un marchio del loro ESSERE DONNA.

L’urlo finale è simbolico: “NOI SEMO DONNE, SÌ, NOI SEMO DONNE! NOI SEMO DONNE, SÌ, E NUN TREMAMO!”.

Un’affermazione schietta, sincera, a testa alta. Un voler gridare al mondo la propria unicità, il fatto che essere donna è speciale, è un dono. Un testamento.

Lorenzo Cianflone Mottola

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