Ciao, sono Jean Pierre e sono un infermiere del DH di ematologia del policlinico careggi di Firenze e lavoro tutti i giorni con persone che hanno le stesse problematiche che voi avete avuto e vi capisco benissimo .
Vi ammiro tanto per quello che fate. Ho gia scritto un commento dentro il vostro sito (molto carino tra l’altro il vostro sito) e volevo dirvi che , e sicuramente concorderete con me , sarebbe opportuno creare un sistema di sostegno psicologico sia per i pazienti ma anche per i familiari con le figure appropriate come lo psicooncologo che aiuterebbe ad affrontare il periodo soprattutto della diagnosi ma anche per tutto il percorso durante la malattia ma vedo che in italia siamo ancora molto indietro rispetto a questo per mancanza di cultura su questo . Ci si concentra troppo e troppo spesso soltanto alla malattia e non alla “persona con la malattia”
A volte mi viene voglia di lasciare questo lavoro cosi impegnativo psicologicamente ma anche a livello di responsabilità e di rischi per il pz e per noi , ma sono persone come voi che mi fanno andare avanti e di non mollare mai e dare sempre il meglio di me stesso e sono molto piu gratificato dalle parole dei nostri pazienti che di tutte quelle persone che stanno benissimo e si lamentano sempre non accontentandosi mai di quello che hanno.
Mi piacerebbe conoscervi un giorno per parlare un pò.
Non sapete quanto mi ha fatto piacere vedervi in tv , vedere che 2 persone come voi, semplici, abbiano avuto l’opportunita di testimoniare della loro vita vissuta, esperienza dura e sofferta, ed io li vedo tutti giorni, e non sempre medici , professoroni internazionali che dicono la loro in tv  distaccaccati molto spesso dalla realta quotidiana della vita vissuta di un paziente ematologico . si pensa solo e sempre a nuovi farmaci (per carita che ce ne siano sempre di piu), nuove esperimentazioni ( per carita che ce ne siano sempre di piu) , ai grandi numeri e si spendono grandi cifre per queste cose e pochissimo o niente per la qualita di vita del paziente, agli aspetti psicologici di un esperienza drammatica come quella che avete vissuto voi, al farlo stare bene in reparto cercando di ricreare un ambiente ( per quanto è possibile) piu consono e piu vicino alla realtà di casa propria in modo da permettere allla persona malata di stare meglio in quelle piccole cose che sono importanti nella vita di tutti i giorni.
Scusatemi se vi ho tediato con queste mie riflessioni ma è la troppa voglia che ho di vedere una persona malata sorridere e star bene in una struttura ospedaliera e questo molto spesso non accade.
ciao ciao
Tanti auguri campionesse e grazie a Dio per l’opportunità che abbiamo di scambiare queste poche parole

1 commento

  1. Carissimo Jean Pierre,
    vivo l’esperienza del DH da molti mesi ormai: si può dire che sono di casa più lì che in ogni altro posto al mondo.
    Ho trovato molti operatori fantastici e non dico per dire.
    Ammiro molto l’abnegazione con la quale tutti si prendono cura di noi pazienti: medici ed infermieri ma anche personale di supporto: donne delle pulizie, addetti al vitto, OTA… Tutti capiscono il nostro calvario, lo vivono tutti i giorni! Attraverso noi, ma con noi.
    Per i malati che, come me, fanno anche tre giorni di dh alla settimana, si instaura con tutti un bellissimo rapporto che porta anche alla condivisione di esperienze esterne al reparto. Ti faccio un esempio: ho problemi di reazioni alle piastrine, quindi, mentre me le trasfondono non mi lasciano mai sola. In quei momenti per me di preoccupazione, chiacchiero con i diversi infermieri delle nostre rispettive vite, ci scambiamo opinioni, consigli e con qualcuno persino confidenze. Durante le ore che passo in reparto mi sento in famiglia: del resto vedo loro più delle mie sorelle…
    Non hai idea di quanto stimi il loro lavoro e l’impegno che ci mettono: mi rendo conto, lavorando da venti anni anche se in un ambiente completamente diverso, che le condizioni in cui si opera quando si ha a che fare con una moltitudine di persone, non sono tra le più favorevoli. Devi affrontare personalità diverse e rischi che il tuo lavoro diventi impersonale. Poi devo ammettere che a volte i pazienti non si fanno proprio ben volere; è vero che soffrono ma spesso non sanno dove sia di casa il rispetto ma chi sta dall’altra parte della barricata deve mantenersi calmo ed essere lui paziente. In molti casi mi verrebbe da far notare agli ammalati più pretenziosi che è già molto quello che gli infermieri fanno e che spesso non è per incompetenza se commettono qualche errore: purtroppo è la tipologia di lavoro che ti mette a rischio.
    E poi che dire delle mie dottoresse e dei miei dottori: sono fantastici. DV è dolcissima con quel suo sguardo sempre timido, ora ho imparato come fare a farla “sciogliere” un po’… devo dire che siamo quasi diventate amiche; MQ è meravigliosa, sempre sorridente e sempre pronta a darti fiducia ed anche se è una ragazzina svolge il suo lavoro con una professionalità invidiabile; IP è talmente giovane che potrebbe quasi essere mia figlia… eppure mi dà una grande serenità; se hai bisogno di loro le trovi sempre lì dalla mattina presto alla sera tardi: sono una certezza per me, ormai…; e poi c’è MP che potrebbe farmi l’emocromo guardando la provetta di sangue: ho una grande fiducia in lui anche se corre sempre; lui non lo sa ma io l’ho soprannominato il furetto per la velocità con la quale percorre i lunghissimi corridoi del policlinico.
    Non nomino tutti gli infermieri per non dimenticare nessuno… ma loro sanno che per me sono tutti insostituibili! Come Ivetta l’OTA che non ti fa mai arrivare in ritardo a nessun appuntamento e Paula che fa sembrare più mangiabile anche il tremendo vitto…
    Devo davvero ringraziarli tutti. Su a reparto sanno quanto li stimi perchè l’ho anche scritto sul libro, ma con loro non ero mai stata così esplicita.
    Insomma grazie anche a te Jean Pierre per quello che fai per gli smidollati di Firenze. Buon lavoro e non ci ringraziare per l’opportunità di scambiare due parole con noi… è nostro il grazie, te lo assicuro!

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