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Credo che per riuscire ad esprimere correttamente quello che provo oggi, sia giusto partire dal giorno in cui tutto questo è cominciato. Novembre 2008, quando mi viene diagnosticata una leucemia linfoblastica in uno stadio già  piuttosto avanzato, e di conseguenza da provare a prendere subito per i capelli mediante cicli di chemioterapia. Ed il caso, per chi crede al caso, vuole che la diagnosi me la faccia il primario che in realtà io già avevo avuto il piacere di conoscere anni prima per motivi molto più divertenti.

La sera che è entrato in camera mia in ospedale a Castelfranco e mi ha detto testualmente:” Nicola, io non ho buone notizie da darti. La situazione è abbastanza compromessa, e dobbiamo subito cominciare a fare chemioterapia, sapendo che comunque non abbiamo la certezza di riuscire a salvarti la vita. Prendi in considerazione anche l’idea che potresti morire”,  è stato tutto un rincorrersi di emozioni forti, di sensazioni che in pochi attimi passavano dall’ avvilimento alla rassegnazione, dalla paura all’incredulità. E tutto questo avveniva in pochissimo tempo, forse in un minuto o forse anche meno.

Poi però la sua grande capacità è stata quella di essere riuscito, non so come, a toccare le mie corde giuste, a trovare le poche parole giuste per trasformare tutta questa negatività in positività, a provare e riuscire a farmi vedere più in là di quella sera. Infatti subito dopo ha aggiunto:” Ho preferito dirti queste cose stasera e non domani, perché quando verrò domattina voglio che tu abbia avuto il tempo, cioè tutta stanotte, di piangere, disperarti e chiederti perché proprio a me? Ma da domani sappi che non ci sarà più posto per queste domande, perché la tua vita cambierà radicalmente. Da domani dovrai affrontare una cosa che ti farà star male, fisicamente e moralmente. Ci saranno dei giorni nei quali ti sentirai morire, ti vedrai perso, ti sentirai abbandonato e non avrai voglia di lottare. Ed io voglio che tu da domani sia pronto a combattere.”

Ed infatti io quella notte non ho chiuso occhio. Ma la cosa strana è che in realtà la mia paura maggiore  non era quella di morire, ma era quella di dover lasciare tante cose in sospeso. Cose stupide, tipo le tasse delle macchine da pagare, il costringere mia moglie a prendersi responsabilità che fino ad allora erano state mie. Cose come andare in banca o fare benzina alla sua macchina. Ecco, io non mi preoccupavo che potessi morire. La mia preoccupazione maggiore era come se stessi per lasciare qualcuno nei guai, quasi come se stessi per deluderli. Anche in relazione agli impegni che avevo preso come allenatore di due squadre di basket, mi sentivo in colpa perché nel mezzo della stagione li lasciavo senza allenatore. E poi pensavo a mia figlia, che già non avevo visto crescere perché a volte è la vita che sceglie per noi, e non noi che decidiamo cosa fare. Pensavo a mio papà, a mia mamma che da lassù mi guardava, ai miei fratelli, agli amici, ai colleghi di lavoro. E pensavo a mia moglie, che avrei lasciato senza essere stato in grado di darle una vita felice. Insomma credo di non aver mai pensato tanto in vita mia come quella notte.

Alla fine mi sono detto:” Dai Nicola, ne hai passate tante, hai visto morire mamma che avevi poco più che vent’anni, hai fatto i funerali a due figli piccolissimi, hai fatto la fame da emigrante per un anno, e non ti sei mai avvilito né tantomeno arreso. Perché dovresti farlo ora? Hai sentito il primario, è importantissimo l’aspetto psicologico, come vuoi affrontare questa nuova esperienza. E allora la domanda è: “Hai ancora voglia di lottare, c’è qualcosa o qualcuno per cui valga la pena farlo? E allora forza e coraggio, e prendi a calci in culo questa stronza, senza paura come sempre hai fatto.”

Ed è così che la mattina dopo ero pronto ad affrontare tutto quello che mi si prospettava, senza pensare a domani, ma pensando che ogni giorno che passa è un giorno guadagnato.

E così terapia dopo terapia (alla fine a Castelfranco ho fatto otto cicli di chemio in sette mesi), alti e bassi giorni sì e giorni no, sono riuscito a superare la prima fase.

Ed è durante questi mesi passati in ospedale, che ho cominciato a capire, quanto a volte ci perdiamo in cose inutili, in discussioni a cui diamo un’ importanza spesso superiore a quanto valgano in realtà. Ma la cosa che veramente ho potuto toccare con mano per la prima volta in vita mia, è stato il senso vero di parole tipo amicizia, solidarietà, condivisione del dolore. Io da buon napoletano, trapiantato nel profondo nordest, laborioso, silenzioso, ed a volte cattivo con chi non ha qui le sue radici, mi sono dovuto ricredere, nel vedere

e nel toccare con mano quanto falsi ed ignoranti fossero certi pregiudizi. Certo gli estremismi esistono anche qua, ma quello che ho capito veramente è che alla fine tutti veniamo trattati dagli altri per come ci poniamo nei loro confronti. Per quanto riusciamo ad integrarci ognuno con le nostre piccole grandi differenze, con abitudini diverse e culture diverse. Io e mia moglie abbiamo avuto attestati di amicizia vera, di condivisione del dramma che stavamo vivendo da parte di tutti. Tutti. Anche da parte di chi magari non ce lo saremmo aspettato. Il mio telefonino quando ero in ospedale era un continuo squillare, le visite di amici, che io nemmeno consideravo tali erano sempre più frequenti. Mai ci siamo visti abbandonati, mai un giorno da soli. E devo dire la verità, questa esperienza è servita anche a farmi ritrovare, o trovare per la prima volta, un legame stretto con i miei due fratelli. Più piccoli di me, con i quali ci siamo sempre voluti bene, ma con i quali non c’era un legame così stretto. Una telefonata ogni tanto, molto breve e concisa, una visita quando andavo giù a Napoli e poco altro. Ora invece anche questo rapporto si è stretto. Non appena hanno saputo della malattia sono subito corsi qua, ed hanno anche fatto le prove di compatibilità per l’eventuale donazione del midollo in caso di trapianto. Niente di speciale tra fratelli, ma per me è significato molto.

I primi cicli di chemio sono stati terribili. Uno scombussolamento fisico e morale. Una serie di problemi che se ci penso ancora oggi mi mettono ansia. Ed è stato proprio in quei momenti così brutti che a volte di notte, avevo la netta sensazione fisica che qualcuno mi prendesse sotto braccio, e sollevandomi da terra mi aiutasse a percorrere un pezzo di strada.

E’ stata per me una grande soddisfazione, vedere che essermi sempre proposto in modo positivo, alla fine ha pagato. Fà sempre il bene, proponiti sempre in modo positivo e mai arrogante o prepotente, e non aspettarti niente in cambio. Vedrai però, che il giorno che dovessi essere in difficoltà, raccoglierai i frutti.

Comunque alla fine ce l’ho fatta, anzi ce l’abbiamo fatta. Dopo mesi di tribolazioni eravamo riusciti almeno a scongiurare il pericolo della morte.

Tornato finalmente a casa  (Maggio 2009), speravo di poter riprendere una vita quasi normale, anche perché ad ogni controllo periodico che facevo all’ospedale di Castelfranco mi veniva detto che le cose andavano sempre meglio, e che anche il trapianto non era poi così sicuro si dovesse fare. E così ho provato a ricominciare a vivere, a provare a riprendere il mio posto di lavoro, magari con altre mansioni visto che comunque risultavo una persona con una capacità lavorativa non al cento per cento. Ma non è stato come speravo. Per la prima volta ho sbattuto contro l’ ignoranza e forse la malafede di chi voleva offrirmi un posto di lavoro sapendo che non avrei potuto accettare, e quindi potermi licenziare. L’ unica cosa che mi hanno potuto offrire era il posto da guardiano notturno, a trenta chilometri da casa e sapendo tutto quello che avevo e che stavo passando. Un modo elegante per dire grazie non abbiamo più bisogno di te. Ma non mi sono certo arreso, anzi. Ho cominciato a cercare altro, ed intanto mi dedicavo ai bimbi con il basket. Ho sparso un po’ di voci in giro, cominciato a fare domande di lavoro, da solo e tramite sindacati.

E proprio quando avevo cominciato la stagione del basket, essere riuscito anche faticosamente ad aver ore di insegnamento in tre scuole elementari, e qualcosa sembrava muoversi per il lavoro, ecco che ad Ottobre mi chiamano dall’ospedale di Vicenza per dirmi che è stato trovato un donatore compatibile e che quindi si stava pensando di organizzare il trapianto di midollo. E di nuovo come l’anno prima, sono costretto ad interrompere tutti i progetti, tutte le cose cominciate, e riconsiderare di nuovo la mia vita.

E così abbiamo avuto modo di conoscere una nuova realtà, quella del trapianto. E devo dire che per la prima volta da quando questa storia è cominciata, ho avuto paura di non farcela, di non riuscire a superare questa prova. E’ successo durante il primo colloquio con il dottor Raimondi, che mettendola nero su bianco, con una semplicità estrema, ha fatto vedere a me ed a mia moglie, cosa sarebbe accaduto da lì a qualche settimana, quali conseguenze avrebbe potuto portare un trapianto di midollo, con un range di possibilità praticamente infinito, che partiva dalla guarigione completa ed arrivava alla morte. Ed in mezzo c’era praticamente di tutto, dai problemi di pressione, ai reni, al fegato, ai polmoni, al cuore, ai denti, e di tutto e di più. Non ultimo il rischio di cataratta. Devo essere sincero. Per la prima volta ho avuto paura di non farcela, che non avrei superato quella prova. Ma è durata pochi giorni, e come un’ interruttore on e off, una mattina mentre ero da solo in macchina ho ricominciato a pensare positivo, a dire a me stesso:” dai Nicola, pensa che tra qualche mese tutto questo sarà un brutto ricordo”. E così i primi giorni di Novembre mi sono ricoverato a Vicenza per fare il trapianto di midollo. E la prima tappa è stata già bella tosta. Tre giorni di radioterapia, due sedute mattina e pomeriggio di un supplizio che mi ha angosciato e messo tristezza allo stesso tempo mentre lo facevo. L’ angoscia veniva dal fatto di restare tre ore la mattina e tre ore il pomeriggio, chiuso immobile in una bara di plastica, attaccato  dalla testa ai piedi a dei sensori, nessuna possibilità di muoversi, ed una bruttissima sensazione di impotenza.

E tutto questo mi rendeva molto triste. Ma alla fine anche questa è passata. Ora mancava solo la tappa finale, la scalata ultima verso la vetta della guarigione, il trapianto. Ed allora via a bombe di chemio per preparare il corpo a ricevere il nuovo ospite, bombe che mi hanno azzerato nel fisico e nello spirito, e che come a Castelfranco un anno fa, mi hanno fatto rivivere incubi notturni, con visioni di morte e personaggi che ce l’avevano con me. Per diverse notti ho sognato la morte, travestita da bella donna, con un vestito nero che mi sorrideva e mi teneva per mano, e che per forza voleva che andassi con lei, nonostante io mi rifiutassi,  e con lei ci fosse un uomo geloso che non voleva io fossi lì. E la cosa più brutta era che seppure mi svegliavo e magari passavano dei minuti finché mi riaddormentvo di nuovo, l’incubo ricominciava sempre, uguale, magari con qualche piccola variante, ma il senso era sempre lo stesso. Un altra cosa che rendeva triste era il non sentire come l’anno scorso quando ero a Castelfranco in ospedale, la stessa vicinanza delle persone che conosco. Stavolta il telefonino suonava molto meno. Mi sono sentito un po’ più solo. Ma alla fine, anche qui credo di aver capito che non siamo tutti uguali, e che certe esperienze, se non vissute direttamente, fanno molta paura. La parola trapianto credo che nella mente di chi non sa, ma può soltanto immaginare, evoca sicuramente sensazioni e sentimenti brutti, forse anche più brutti di quello che è in realtà. Ecco perché forse se non mi chiamano non è perché non mi pensano, ma magari è solo perché mi immaginano in una specie di tunnel nero e non sempre si sa cosa dire in casi del genere.

Finalmente poi è arrivato il fatidico venerdì 13 Novembre, giorno fissato per l’ infusione del nuovo midollo. Mi hanno fatto patire tutta la giornata, visto che abbiamo cominciato alle sette di sera. La cosa in sé per sé non è stata traumatica, anzi. Due sacche di sangue messe in circolo come se fosse una normale trasfusione.

In quei momenti pensavo a quell’ anima nobilissima del donatore. Un americano che si era preso il fastidio di fare degli esami, iscriversi in una lista di donatori, e poi sottoporsi ad un prelievo di una parte del suo sangue per donarla ad uno sconosciuto. Ho provato tante volte ad immaginarmi la sua faccia, la sua famiglia, che lavoro fa e dove vive. E ogni volta cambiava qualcosa. Un professionista con una bella casa, un impiegato, uno studente, ma sicuramente una persona a cui i genitori hanno inculcato sani principi, basati sull’amore ed il rispetto per il prossimo. Però ora che ci penso me lo sono sempre immaginato uomo e non donna. Chissà perché.

Comunque i giorni dopo il trapianto sono stati molto ma molto impegnativi. Ho avuto dei piccoli fastidi tipo febbre, tosse, improvvisi tremori, pressione alta, ecc. Inoltre praticamente per giorni interi non ho toccato cibo, né a pranzo, né a cena. Il solo vedere il vassoio con i piatti dentro mi faceva nausea. Forse in tutta questa storia se devo trovare un aspetto positivo, oltre alla guarigione s’ intende, è che sono calato di oltre quindici chili, il che non può che essere positivo. E questo mi porta al primo degli impegni che intendo prender con me stesso, una volta uscito dall’ospedale. Tenere sotto controllo il peso, facendo una vita più sana, senza stravizi, mangiando per necessità e non solo per il piacere di abboffarsi tutti i giorni.

Tornando a quei primi giorni dopo il trapianto, ogni tanto qualche brutto pensiero si affacciava alla mente, soprattutto di notte, quando restando da solo gli incubi ricominciavano. E stavolta riguardavano colleghi di lavoro che mi maltrattavano e si prendevano gioco di me. O situazioni assurde come il non potermi svegliare se prima non fossi riuscito a farmi entrare delle cose in un orecchio. E tutto questo durava tutta la notte. Come le volte precedenti, svegliarmi non serviva a niente. Ogni volta che mi riaddormentavo, si ricominciava daccapo. Fino al mattino, quando poi d’ improvviso tutto spariva e tornava normale. In questo periodo, ormai sono qua da quaranta giorni, non ho mai voluto avere visite. Tranne a mia moglie ed ai miei due fratelli, non ho mai dato a nessuno la possibilità di venire a trovarmi. Non so il perché. Forse devo dire che anche il vivere in uno stanzino tre per tre, con una finestra oscurata, un panorama da schifo, penso mi abbia un po’ inaridito lo spirito e la mente. Sono forse diventato un po’ orso. Meno vedo, meno sento, meno ho voglia di vedere e di sentire. Ma so che questo non va bene, e soprattutto so che questo non è il Nicola che conosco e che voglio essere.

Così giorno dopo giorno, notte dopo notte, le cose piano piano hanno cominciato a prendere una piega sempre migliore. Gli incubi sono spariti del tutto, penso anche perché i medicinali da prendere sono diminuiti, ma ho cominciato a prendere gocce per riposare meglio. Non per una reale necessità, ma perché non facendo niente tutto il giorno, a volte mi capita di assopirmi, e quindi dopo un mese di monotonia a volte si scambia il giorno con la notte, e si dorme non per sonno ma per noia.

Oggi è sabato 12 dicembre, e da due giorni mi è stato detto che sono fuori dall’ aplasia. Per la prima volta dopo più di un mese ho lasciato la mia prigione per andare a fare una passeggiata nel corridoio. E’ stata una sensazione bellissima. Uscito dalla stanza mi sono sentito come rinato. Subito a sinistra fuori dalla stanza, c’è la finestra che dà su un parco, ed appoggiarmi a quella porta, e vedere una distesa di verde, anzi giallo marrone vista la stagione, è stata una sensazione bellissima, da lacrime. E poi fare più di tre passi consecutivi come non capitava da quaranta giorni, è stato bellissimo. Ho fatto due volte il giro del corridoio, e avrei ancora avuto voglia, ma il primo giorno è meglio non esagerare.

Ormai sono diversi giorni che le cose sembrano andare abbastanza bene, senza problemi particolari. E finalmente anche i medici cominciano ad usare parole tipo dimissioni, cosa dovrò fare una volta arrivato a casa. Insomma sto quasi cominciando a credere che passerò effettivamente il Natale a casa.

E oggi, martedì 15 dicembre, ho fatto anche il prelievo del midollo, e cominciato ad eliminare le flebo, continuando comunque le terapie, ma in pastiglie. E la dott.ssa Erice mi ha quasi confermato che venerdì si va a casa. Lo spero proprio.

Ora mi sento veramente bene, non vedo l’ora di uscire, di ricominciare a vivere, provare a riprendermi il  tempo perduto. So che forse sarà impossibile, ma ce la metterò tutta, provando a vivere una vita magari con meno quantità, ma con tanta, tanta qualità in più. E’ questo un altro degli impegni che voglio prendere con me stesso e con chi mi sta accanto, mia moglie su tutti. Basta due squadre da allenare, con impegni dalle quattro di pomeriggio alle dieci e mezza di sera, magari dopo una giornata di lavoro. Ho deciso che una squadra da allenare è più che sufficiente, che quattro pomeriggi a settimana in palestra bastano, e che soprattutto la sera, compresi sabato e domenica, non voglio più passarli in giro per i palazzetti del Veneto, ma a casa in famiglia o con amici. Almeno per un anno, poi valuterò se e cosa mi sarà mancato, ed eventualmente deciderò. Basta mangiate pazze spesso e volentieri, ad orari impossibili e magari fuori da casa, perché dopo aver finito l’allenamento alle dieci e mezzo di sera, è molto più facile ritrovarsi in birreria, che non tornare a casa. Basta dover lasciare mia moglie il sabato o la domenica sera perché ho la partita in capo al mondo.

E basta spremersi come un limone per lavorare, dicendo sempre sì a tutti, perché i soldi non bastano mai. Un altra cosa che ho capito. Non è vero che i soldi non bastano mai. Basta semplicemente sapersi accontentare, saper rinunciare a qualcosa.

Ho deciso di fare una scala di valori, di dare a tutte le cose della vita una priorità, maggiore o minore a secondo dell’ importanza. E meno sono importanti, meno attenzioni avranno. Inoltre mi piacerebbe provare a fare qualcosa nel settore del volontariato, magari con l’Associazione AIL, che credo rappresenti una parte fondamentale nelle tappe che un malato di leucemia deve percorrere, spesso per mesi in ospedale o anche a casa. Vederli ogni giorno bussare alla mia porta, e sentirmi chiedere “Ha bisogno di qualcosa?”,o anche semplicemente:”come va oggi?” è un qualcosa che fa stare bene chi soffre. Ecco un altro dei buoni propositi che ho per il futuro.

Oggi come oggi, ho due grossi rimpianti. Il primo è non aver potuto avere un figlio con mia moglie, e vista la malattia e l’età che incalza, non so se alla fine ci riusciremo. Il secondo è non essere riuscito a comprare casa, nonostante i sacrifici che abbiamo fatto, questo resta un sogno forse irrealizzabile. Ma va bene così. Alla fine tirate le somme, devo dire che il bicchiere per me resta sempre mezzo pieno, perché come dice una frase che mi piace ripetere “Quello che non ti uccide, ti rende più forte”. Ed io oggi mi sento più forte, perché se fino ad un anno fa non sapevo come avrei reagito in caso di difficoltà estrema, ora lo so. E so anche di avere al mio fianco una donna che nel momento del bisogno e della necessità, è stata capace di portare avanti una casa da sola, di prendersi cura di me in ospedale, e di continuare a lavorare in modo quasi normale, avendo sicuramente invece nel suo animo una tristezza enorme.

Ora però non mi illudo che la guerra sia vinta. So benissimo che finora sono state una serie di battaglie vinte.

Ma la guerra non è finita, ci sarà ancora da lottare, da fare controlli, e da aver ancora paura che nei prossimi mesi le cose possano peggiorare. Inoltre ho sempre l’ incognita lavoro e questa è forse la cosa che più mi spaventa. Non sono proprio di primo pelo e so benissimo che viviamo una crisi di lavoro non indifferente. Io ce la metterò tutta, nella speranza che la ruota della fortuna cominci finalmente a girare un po’ anche dalla nostra parte.

Ecco carissima dottoressa, non so se in realtà lei mi avesse chiesto questo. Magari sarebbero bastate poche righe per esprimere gli stessi concetti. Ma io forse avevo veramente bisogno di mettere nero su bianco, magari non sempre in modo ordinato, tutto ciò che è successo in questo lungo anno, e quanto di tutto ciò mi è rimasto dentro. Se sono stato molto prolisso mi dispiace, ma sicuramente tra tante sciocchezze, lei saprà trovare quelle tre o quattro cose che mi aveva chiesto di esprimere.

Nicola M.

Foto di:Armando Vaghi

 

 

6 commenti

  1. Grazie Nicola per aver condiviso la tua esperienza, “sprizzi speranza da tutti i pori”, é un bellissimo messaggio!!!! Anch’io ho fatto il trapianto 20 mesi fa, avevo la leucemia mieloide acuta M4, e la mia UNICA sorella é compatibile con me al 100%. Anch’io continuo a fare controlli periodicamente, il percorso é lungo, ma oggi vivo ogni giorno al 100%, non rimando più a domani, se posso farlo ora, cerco di assaporare ogni piccola cosa e soprattutto vivo da presona “sana”, non sono malata. Si certo, ho dei limiti, non ho ripreso completamente le mie forze, mi stanco facilmente, ma non importa, quando sono stanca, mi fermo e mi riposo, e poi riprendo. AVANTI TUTTA, dobbiamo e possiamo VINCERE!!!!
    Giusy – Milano

  2. Ciao Nicola…la tua storia, tocca il cuore…….e a me ha ftt fare un viaggio indietro…Sebbene la mia “stronza” nn si chiamasse leucemia, ma linfoma, la guerra è stata molto simile alla tua……. Tanti auguri x tutto……… Un abbraccio forte forte….Sabrina

  3. Carissimo Nicola, il tuo inno alla speranza che hai scritto così accoratamente raggiungerà sicuramente i cuori e le menti di chi si trova in qualche letto d’ospedale, oppure tra le mura di casa ma con un pensiero triste nell’animo; e allora attingerà ogni goccia del tuo ottimismo per arricchirsi e per aiutarsi a vincere anche lui una delle tante battaglie. La tua lettera è giunta dopo che tutti abbiamo letto che finalmente stai trascorrendo il tuo Natale nella tua bella Napoli, “felice come un bambino al luna park”, come tu stesso ti sei definito. Riparti dalla tua solare città con un calore diverso nel cuore e con tutti i colori dell’arcobaleno a indicarti la via giusta da seguire oggi come ieri e domani ancor di più. Buone feste Nicola, e grazie per le parole che hai scritto.

  4. Ciao Nicola…ho fatto il trapianto quasi 2 anni fà….e dopo anni di lotta ( ho cominciato nel 2005), il 20 gennaio quando farò 2 anni…andrò alle maldive…e chi lo avrebbe mai detto!!!!
    Anche se le mie Maldive sono la mia famiglia…programmare un viagio è stupendo più che mai ora….ma soprattutto PROGRAMMARE NON HA PREZZO!
    Buon Anno Nicola!

  5. Grazie a tutti voi per le belle parole. E’ la mia più grande soddisfazione sapere di essere stato utile, di aver portato il mio piccolo secchio colmo di speranza. Un abbraccio a tutti.

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